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Chiara Dynys

Giorni Felici

11 dicembre 1997

Identità infrante, ristrutturate, cariche di brividi e di inquietudini; corpi che attendono soffi d’aria per ruotare su se stessi e tessuti che evocano attese e desideri; e cosi che appare l’universo animato degli elementi che compongono Giorni Felici, l’ultima installazione di Chiara Dynys. Sottile provocazione e metafora di un io femminile che attraversa epoche e continenti per approdare, a ritroso, in un lucido scenario di tentazioni accennate e di speranze in bilico tra gioia e stupore. Il lavoro della giovane artista mantovana, realtà ormai consolidata del panorama artistico internazionale, come confermano i recenti lavori realizzati e apprezzati in Canada, a New York e in Germania, si confronta con il capolavoro di Beckett facendone rivivere tutta l’intensità emotiva in. un “teatro senza attori” ma i cui protagonisti animano la scena sussurrando frasi ripetute e oscillando in ellittiche traiettorie. E’ il rosa il colore dominante che caratterizza, in quest’installazione, il percorso di Chiara Dynys: protagonisti sono vecchi abiti da ballo scuciti e ricuciti attorno a busti e sottogonne fatti di stecche di balena, come un tempo si usava, cui la leggerezza dona una propria mobilità. Nascono così forme sferiche, ovoidali ed d’ittiche che osservano e si osservano. “Siano essi simulacri, fantasmi, o specchi deformati dell’inconscio, – scrive Alberto Fiz – quei tessuti composti in suggestive forme circolari rappresentano il punto d’arrivo di una ricerca dove l’aspetto evocativo ha sempre avuto un ruolo fondamentale.” “Uno scatto sorprendente ed emozionante – sottolinea Marco Franciolli, Vicedirettore del Museo Cantonale di Lugano, – che indaga la memoria nei suoi funzionamenti. Queste entità, fluttuando nell’aria, rivendicando una dopo l’altra in un sussurro il diritto alla loro follia, provocando un brivido simile a quello suscitato dalle ultime battute di Winnie, la protagonista della pièce teatrale omonima che si chiede se un giorno ha potuto sedurre qualcuno: Oh le beau jour encore que ca aura été. Encore un. Après tout Sovente – prosegue Franciolli – per iscrivere in modo non troppo traumatico ciò che l’esistenza porta nel vissuto di ognuno di noi, impariamo ad elaborare le esperienze secondo una forma accettabile di mistificazione, trasformandole e piegandole al nostro desiderio di avere almeno un passato consolatorio. In una prospettiva temporale, una giornata qualsiasi può essere così trasformata in un giorno degno di essere vissuto e ricordato .,.” L’installazione romana della Dynys si compone di altre due opere: una serie di ali nere che in un sottile gioco di rimandi coinvolgono lo spettatore ponendolo sull’orlo di un ipotetico vuoto e generando vaghe inquietudini e un altro caratterizzato da forme bianche trapezoidali, di geometria non euclidea, di diversi materiali (dal marmo alla cera) che sporgono e si proiettano fuori dalla parete. Anche nel lavoro delle ali, come per gli abiti da ballo, la dominante è data dalla ricerca storica dei materiali che, in questo caso, contrastano con l’idea rappresentata: trattasi di pesanti lane grezze nere di chador cucite su anime di metallo asimmetriche, disposte sul pavimento e sul muro e che sembrano uscire dalla grande foto che le riproduce sulla parete,

Allestimento

Inaugurazione

Invito

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